italia.it e le bugie sull’accessibilità

A italia.it avrei perdonato tutto: il costo, il ritardo, il risultato mediocre. Non avrei scommesso un centesimo su un progetto fermato e fatto ripartire più e più volte, e mi sarei anzi stupito di trovarmi a navigare un sito piacevole e completo.

Tutto avrei perdonato, meno che le bugie, soprattutto quelle riguardanti il grado di accessibilità che ci si vanta di aver raggiunto. Sono fatto così, le frottole mi hanno sempre infastidito.
Per farmi aiutare nella valutazione del grado di accessibilità di italia.it mi è bastato chiedere il “solito” piacere a Nicola e invitarlo a navigare dalla homepage con un software di tecnologia assistiva. I risultati lasciano spazio a pochi dubbi.

“Ieri sera ho trovato 10 minuti per visitare il portale italia.it.

Aprendo la home page, appare un filmato flash. I primi due pulsanti non sono descritti, pertanto la tecnologia assistiva segnala solo che si tratta di pulsanti.
Segue la dicitura “Enter in Italy”, che certamente disorienta chi non conosce l’inglese. Seguono link alle diverse lingue e finalmente un link “italiano”, che sembra fare al caso nostro.
Per il resto ancora frasi in inglese che fanno riferimento ad una newsletter ed altre amenità.

Premendo invio su italiano si arriva in una pagina che sembra più accessibile e i link per saltare direttamente al menu di navigazione ed al contenuto della pagina lo testimoniano.
La presenza di un filmato flash provoca l’aggiornamento continuo dello schermo. L’utente non è avvertito in nessun modo di questo fatto, ma se ne accorge a sue spese, perché la tecnologia assistiva continua a rileggere le stesse informazioni, in quanto il cursore virtuale si sposta continuamente per seguire l’aggiornamento della pagina. Si è costretti a ricorrere alle opzioni dello screen reader, che consentono di evitare che lo stesso segua gli aggiornamenti dei filmati Macromedia Flash.

Il link per accedere alla Versione accessibile per un non vedente appare dopo aver scorso più di metà pagina.La versione accessibile sembra poi riferirsi non all’intero sito, ma alla cronologia dei fatti.

Un’altra cosa che vale la pena notare è che questo sito permette di scaricare dei software assistivi (un browser vocale e non so cos’altro). Forse non si sono posti il problema che uno per arrivare alla pagina da cui scaricare questi software deve già disporre di una tecnologia assistiva e per di più le pagine per le quali transita devono essere accessibili.

In definitiva i contenuti si riescono a raggiungere, ma se si cerca ad esempio di accedere alla mappa interattiva, l’utente non viene avvertito che sta per accedere ad una pagina non accessibile.
Risulta invece accessibile la mappa accessibile, che però si trova dopo una serie sterminata di link.

Questo è un giudizio da utente, senza entrare negli aspetti tecnici relativi al codice HTML.
Purtroppo in questo periodo non ho molto tempo per fare prove più approfondite, spero che le righe che ti ho scritto sopra possano bastare come spunto.”

Secondo me questi dieci minuti sono più che sufficienti per capire se il sito è accessibile. Secondo voi?

Google è web 2.0?

Se web 2.0 vuol dire per le aziende, tra le altre cose, un approccio di trasparenza verso i propri clienti e utenti, mi chiedo se Google si possa considerare una realtà 2.0.

Parlo in particolare dei weblog che riguardano i tanti prodotti realizzati in questi anni: quello di Adsense, di Adwords, di Google Desktop e di quello ufficiale, oltre che tanti altri.

Prima di lanciare un blog ufficiale quelli di Google hanno aspettato diverso tempo. Trattandosi di una società quotata, probabilmente a ragione si è scelto di porre qualche cautela prima di percorrere questa strada.

Ma non vi sembra manchi qualcosa per definire queste pagine dei “veri” weblog, cioè la possibilità per gli utenti di inserire dei commenti? Si tratta di una delle funzionalità base di un weblog, eppure non esiste questa possibilità. Certo è possibile “mandare” un trackback verso il singolo post, ma è un’altra cosa. I commenti sono vere e proprie discussioni che nascono, e molte volte arricchiscono, lo stesso post.

Quelli che vengono spacciati per interventi nei weblog di Google, a ben guardare, somigliano più ai vecchi comunicati stampa che fanno tanto “1.0”. Una comunicazione a senso unico che mal si addice a chi si propone come innovatore in questo campo.