Dietro le quinte di un progetto

Non sapete quanto mi piacerebbe scrivere in questo sito come si articola nel dettaglio il processo di progettazione e creazione di un progetto online, soprattutto di uno di grandi dimensioni che vede coinvolte molte e diverse professionalità.

Ma non lo faccio.

Non lo faccio non perché voglia tenermi ben stretto tutto quello che ho imparato in questi 15 anni di lavoro.

Non lo faccio perché non posso.

Non posso perché a monte della mia attività di consulenza (e, in passato, di dipendente) c’è quasi sempre un accordo di riservatezza: non posso parlare dei dettagli del mio lavoro.

Non giudico se quella di far firmare clausole del genere sia una strategia efficace, ma mi dispiace non poter condividere esperienze o casi di studio pratici che difficilmente trovano posto nei libri. La realtà è spesso diversa da quella che si legge nei testi accademici.

Quello degli accordi di riservatezza è però un vizio che si propaga con una certa velocità. Se fino a ieri interessava le aziende di grandi dimensioni, mi capita sempre più spesso di sentire amici e colleghi che si trovano a firmare un accordo di questo tipo anche per progetti di poche migliaia di euro.

Ma non è di questo che volevo discutere oggi (segnalazioni riguardo la vostra esperienza nei commenti sono comunque molto bene accette, se non altro per capire l’entità del fenomeno).

C’è infatti chi per fortuna non ha problemi a condividere nel dettaglio la propria esperienza, come nel caso della BBC.

Un esempio su tutti è il redesign del meteo, che è stato descritto magistralmente dal team di lavoro in BBC Weather: Design Refresh in Pictures. Perché magistralmente?

  • Perché indicano l’intero processo di progettazione e non solo una parte
  • Perché presentano grafici e diagrammi (come quello relativo alle 5W – Who, When, Why, Where, What) che si aprono a tutto schermo, così da leggere per intero quello che c’è scritto, senza segreti
  • Perché elencano le parti del sito precedente a cui hanno rinunciato, e il motivo
  • Perché non si vergognano di far vedere che tutto prende vita dai bozzetti su carta (ne scrivevo giusto qualche settimana fa)
  • Perché indicano chiaramente la vision e come ogni professionista al lavoro sfrutti le proprie competenze per raggiungere gli obiettivi
  • Perché sottolineano l’importanza delle icone e della infografica (quella fatta bene) in un progetto di questo tipo.
  • Perché sapevano che descrivere nel dettaglio la complessa macchina del redesign avrebbe attirato le (inevitabili) critiche di chi si trovava meglio con la versione precedente (vedi i commenti 12 e 13)
  • Perché scrivono nero su bianco il nome delle agenzie e dei partner che li hanno aiutati nella progettazione del sito, invece di tenerli nascosti (magari facendo firmare un documento di riservatezza, giusto per ritornare al tema iniziale)

La possibilità di condividere così nel dettaglio la propria esperienza deriva probabilmente anche dal fatto che la BBC è pagata dalle tasse dei contribuenti e questo è un modo di far capire come sono impiegati questi soldi e di ritornare un po’ della conoscenza maturata.

Sarebbe allora bello che la Rai facesse lo stesso, ma vista la qualità dei progetti che mettono online forse sono ancora nella fase precedente, quella in cui devono ancora imparare come si fa a realizzarlo, un sito.

Come migliorare il processo di acquisto

Sono fortunato. Negli ultimi anni ho avuto la possibilità di partecipare alla progettazione e realizzazione di alcuni tra gli e-commerce più importanti nati in Italia.

È bello, interessante e istruttivo lavorare per un e-commerce, perché il sito non è fine a sé stesso, ma a supporto della vendita e non solo deve funzionare, ma deve funzionare bene, benissimo.

Per chi lavora nel campo della user experience un sito di e-commerce presenta anche delle opportunità uniche per proporre e mettere in cantiere dei miglioramenti e verificarne immediatamente il risultato.

Tra le diverse aree di un sito di e-commerce mi piace mettermi al lavoro sul processo di checkout perché rappresenta una vera e propria sfida dove ogni testo, etichetta, bottone deve essere limato e lucidato per bene. Il processo di checkout è infatti composto da funzionalità che svolgono il duplice scopo di proporre al cliente (o, almeno, si spera lo diventi!) delle precise informazioni sulle operazioni che sta per compiere e di ricevere informazioni su come desidera concludere l’acquisto.

Avere la possibilità di compiere sessioni di multivariate testing a un processo di checkout penso sia un’esperienza che ogni specialista di user experience dovrebbe provare.

In più di un’occasione mi sarebbe piaciuto parlarne in un intervento, ma l’argomento è complesso e un articolo di pochi paragrafi, ma anche il capitolo di un libro rischiano di banalizzare o non far apprezzare l’attenzione e le strategie necessarie per la progettazione e verifica di un processo di checkout che funzioni in tutti i suoi aspetti.

Anche la stesura di una o più checklist di riferimento (di cui sono innamorato) ha poco senso, se non con un documento di dettaglio a corredo.

Ecco perché preferisco consigliarvi due interessanti report che si concentrano sul processo di acquisto approfondendone ogni dettaglio.

Il primo è E-Commerce Checkout Usability, scritto da Jamie Appleseed e Christian Holst del Baymard Institute. Si basa su sessioni di usability test che hanno coinvolto 10 utenti durante la navigazione di 15 siti di e-commerce: 1-800-Flowers, AllPosters, American Apparel, Amnesty Shop, Apple, HobbyTron, Levi’s, NewEgg, Nordstrom, Oakley, Perfume.com, PetSmart, Thomann, Walmart e Zappos.

Il risultato sono 63 linee guida raggruppate in 6 categorie (data input, copywriting, layout, navigation, flow, focus) che in 140 pagine affrontano con ricchezza di esempi, positivi e negativi, il processo di checkout. Alcune indicazioni sono sicuramente note a chi si occupa di user experience (come la progettazione dei form, argomento tra l’altro molto ben affrontato da Luke Wroblewski in Web Form Design), altre sono forse meno scontate.

Peccato che tra i molti esempi presentati pochi siano dedicati alla pagina del carrello, visto che logicamente è strettamente e strategicamente correlata al processo di checkout ed è forse la più importante dell’intero processo.

Interessante invece l’inclusione in appendice di 4 pagine di una checklist pronta da stampare.

Il report costa 78 dollari.

Il secondo studio che vi voglio presentare è E-commerce User Experience, vol. 4: Shopping Cart, Checkout and Registration realizzato da Amy Schade e Jakob Nielsen per il Nielsen Norman Group (e, quindi, non c’è bisogno di molte presentazioni). Il report fa parte di una serie di altri 13 report dedicati all’e-commerce, ma è comunque acquistabile singolarmente per 98 dollari.

E si tratta comunque di soldi ben spesi, perché gli autori non lesinano linee guida e esempi, tanto che il report di estende per più di 300 pagine ricche di screenshot, tabelle di approfondimento e best practices.

In questo caso il report nasce da una versione precedente del 2000 (di cui sono rimaste alcune linee guida) a cui sono stati aggiunti in questa nuova versione i risultati di user testing e eye tracking di utenti in più città europee, americane e asiatiche.

Rispetto al report del Baymard Institute, quello del Nielsen Norman Group risulta più approfondito e quindi richiede sicuramente un certo impegno per essere studiato in tutte le sue parti anche perché spesso le indicazioni più interessanti non stanno tanto nella linea guida in sé, ma nei dettagli presentati nel testo.

Non si può comunque definire un report noioso da leggere, visto che gli autori citano spesso le espressioni degli utenti sottoposti al test (giusto per fare un esempio: “That’s really a pain in the ass”).

Quale dei due report acquistare? Se non vi spaventa studiare più di 300 pagine, il report del Nielsen Norman group è sicuramente approfondito e dettagliato, ma se vi interessa un report comunque ricco di esempi, e con una comoda checklist pronta da stampare ed applicare, il report del del Baymard Institute rappresenta un’ottima alternativa, che vi permette anche di risparmiare qualche dollaro.