Google è web 2.0?

Se web 2.0 vuol dire per le aziende, tra le altre cose, un approccio di trasparenza verso i propri clienti e utenti, mi chiedo se Google si possa considerare una realtà 2.0.

Parlo in particolare dei weblog che riguardano i tanti prodotti realizzati in questi anni: quello di Adsense, di Adwords, di Google Desktop e di quello ufficiale, oltre che tanti altri.

Prima di lanciare un blog ufficiale quelli di Google hanno aspettato diverso tempo. Trattandosi di una società quotata, probabilmente a ragione si è scelto di porre qualche cautela prima di percorrere questa strada.

Ma non vi sembra manchi qualcosa per definire queste pagine dei “veri” weblog, cioè la possibilità per gli utenti di inserire dei commenti? Si tratta di una delle funzionalità base di un weblog, eppure non esiste questa possibilità. Certo è possibile “mandare” un trackback verso il singolo post, ma è un’altra cosa. I commenti sono vere e proprie discussioni che nascono, e molte volte arricchiscono, lo stesso post.

Quelli che vengono spacciati per interventi nei weblog di Google, a ben guardare, somigliano più ai vecchi comunicati stampa che fanno tanto “1.0”. Una comunicazione a senso unico che mal si addice a chi si propone come innovatore in questo campo.

Malicious tagging

Se ne parla tutto sommato ancora poco in rete, ma c’è già chi è pronto a discuterne in qualche convegno, definendola la nuova piaga dopo lo spam.

Con malicious tagging si intende l’inserimento di tag o di parole chiave a scopi autopromozionali nei diversi servizi di social networking, quale del.icio.us, flickr o anche nei weblog (e quindi su technorati).

Se ci fermassimo qui, però, non si parlerebbe di malicious tagging. Anch’io quando pubblico un intervento o un contenuto lo aggiungo a del.icio.us, ma lo completo usando quelli che reputo i tag migliori.

Per chi utilizza il malicious tagging, invece, nella maggior parte dei casi il contenuto non ha nulla a che vedere con le parole chiave usate per descriverlo.

Normalmente servizi come del.icio.us, in cui la “qualità” di una parola chiave è data dal numero di utenti che la usano per descrivere un dato contenuto, limitano i danno di questo tipo di comportamento.

Il rischio principale, come sempre, è quello che vengano utilizzati software automatizzati per replicare più volte questi comportamenti.

Il 2007 ci dirà se dobbiamo preoccuparci di questo fenomeno o se i suoi effetti saranno o meno trascurabili.

Il personaggio dell’anno del Time

Il Time ha eletto noi, chi ha un blog, chi li commenta, chi carica le proprio foto su Flickr, i filmati su Youtube come personaggi dell’anno.

Il cosiddetto grassroots journalism, o giornalismo del popolo, è stata secondo il Time la vera rivoluzione di questo 2006, tanto da meritare la copertina a specchio in cuo ognuno di noi si può riflettere.

Leggendo il settimanale, però, ci si accorge ben presto che al di là di qualche articolo dal taglio molto generalista, neppure il Time sa perché ci ha sbattuto in copertina. L’articolo più corposo è composto da una serie di interviste a chi, persona della porta accanto, è uscito dalla folla conquistando i primi posti in Youtube, su Flickr e MSN Spaces. Carino, ma banale e ripetitivo.

L’unico pezzo degno di nota è probabilmente l’intervista di James Poniewozik ai creatori di YouTube, Chad Hurley e Steve Chen. Lo è perché fa sottolinea una volta di più come l’università americana si sforzi di preparare giovani di meno di trent’anni che le aziende si contendono.

Quando Hurley e Chen sono stati assunti da Paypal, il loro unico lavoro prima di approdare al progetto Youtube, sono stati scelti grazie agli atenei frequentati, grazie alla “formula vincente” del percorso di studio maturato.

Quanti in Italia sarebbero pronti a scommettere su chi è alla prima esperienza?