Malicious tagging

Se ne parla tutto sommato ancora poco in rete, ma c’è già chi è pronto a discuterne in qualche convegno, definendola la nuova piaga dopo lo spam.

Con malicious tagging si intende l’inserimento di tag o di parole chiave a scopi autopromozionali nei diversi servizi di social networking, quale del.icio.us, flickr o anche nei weblog (e quindi su technorati).

Se ci fermassimo qui, però, non si parlerebbe di malicious tagging. Anch’io quando pubblico un intervento o un contenuto lo aggiungo a del.icio.us, ma lo completo usando quelli che reputo i tag migliori.

Per chi utilizza il malicious tagging, invece, nella maggior parte dei casi il contenuto non ha nulla a che vedere con le parole chiave usate per descriverlo.

Normalmente servizi come del.icio.us, in cui la “qualità” di una parola chiave è data dal numero di utenti che la usano per descrivere un dato contenuto, limitano i danno di questo tipo di comportamento.

Il rischio principale, come sempre, è quello che vengano utilizzati software automatizzati per replicare più volte questi comportamenti.

Il 2007 ci dirà se dobbiamo preoccuparci di questo fenomeno o se i suoi effetti saranno o meno trascurabili.

Il business nell’era del web 2.0

Al Le Web 3 di Parigi si è cercato di parlare dei criteri di sostenibilità dei progetti web 2.0, cioè da dove trarre introiti e profitti, ma l’intervento che discuteva di questi concetti si è concluso con qualche vaga indicazione sulla pubblicità e poco più.

Decisamente più interessanti, sono invece un paio di interventi apparsi qualche tempo fa sul web 2.0 journal, “Profitably Running an Online Business in the Web 2.0 Era” e “Struggling to Monetize Web 2.0“, scritti da Dion Hinchcliffe.

Secondo Hinchcliffe siamo in una fase in cui chi parte a progettare uno di questi servizi mira prima di tutto a farsi acquisire dai big, Yahoo! e Google per primi, oppure ha in testa qualche vaga strategia pubblicitaria. Ma il problema principale da risolvere è cercare di capire come riuscire a realizzare un business con prodotti il cui valore aggiuntoè dato dal contenuto creato dagli utenti che lo utilizzano. Riuscire a coinvolgere un buon numero di utenti non si traduce infatti automaticamente in rendite maggiori.

Si possono oggi individuare fondamentalmente 3 strategie di business:

  • pubblicità e sponsorizzazioni, ovvero inserzioni in stile Adsense o banner e contratti diretti con gli inserzionisti. Secondo Hinchcliffe si tatta di una strategia debole, con pochi ritorni
  • sottoscrizioni, cioè pagare per utilizzare alcuni servizi online, come i prodotti di 37 signals o la versione pro di Flickr. Qui ci potrebbe essere qualche segnale incoraggiante nel prossimo anno
  • commissioni per transazioni, come per esempio il business di Ebay. Anche questo potrebbe essere un terreno molto fertile in futuro

La conclusione non è comunque delle più rosee: deve essere ancora pensato qualcosa di alternativo a queste 3 strategie, perché esistono numerosi progetti a cui nessuna di questa strategie può essere applicata efficacemente. E’ il caso di del.icio.us, in cui l’inserimento di pubblicità allontanerebbe gli utenti, così come la versione a pagamento.

Esistono poi alcuni metodi più o meno indiretti che possono aiutare a far crescere un progetto 2.0, in termini di:

  • capitale
  • numero di utenti
  • capacità di resistere alla concorrenza

La strada che porta a questo, secondo Hinchcliffe , passa per acquisizioni strategiche, la capacità di costruire un rapporto di fiducia con i propri utenti, e il passaggio da applicazione “standard” a piattaforma attraverso il rilascio di opportune interfacce a API. Amazon in questo caso è un vero e proprio caso di successo.

Un esempio di perfetta integrazione

Non penso di essere l’unico a prendere appunti quando trovo un sito con una buona idea, una di quelle che reputo possa tornarmi utile in futuro.

L’ultima volta è successo quando mi sono collegato, dopo qualche mese, al mio account su Flickr, il bellissimo servizio di confivisione foto recentemente acquisito da Yahoo!.

E ho subito capito che Flickr fa parte della famiglia Yahoo!, visto da chi sono stato accolto, ovvero da una schermata che mi ha informato come il mio indirizzo di posta elettronica fosse presente sia nel database di Flickr, sia in quello di Yahoo!.

Yahoo! mi presenta questa schermata fondamentalmente a mio vantaggio: mi dà la possibilità di legare le mie informazioni su Flickr con l’account di Yahoo!. E lo dice.

Unire un account Flickr e Yahoo! - 1

A me la cosa sta tutto sommato bene, per decido di preseguire. Click.

Conferma di iscrizione con dettaglio operazioni

La schermata informa su quello che sta per succedere, con eventuali limitazioni e un dettaglio delle utenze coinvolte. Notate la pulizia della schermata e i punti elenco alla fine, impossibili da tralasciare. L’utente dispone ora di ogni informazione riguardo a quello che succederà. Poiché infatti non è (almeno ancora) così frequente che due sistemi con registrazioni diversi si integrino in questo modo, è importante spiegare bene al visitatore cosa sta succedendo.

Vi accorgerete anche che tutto sommato di vantaggi in questa operazione ne ha anche Yahoo!, poiché per tutti i dati che avete lasciato a Flickr da questo momento in poi varranno le regole decise da Yahoo!

Operazione conclusa

Ecco infine una conferma che tutto si è svolto nel migliore dei modi, con un riepilogo di quello che è successo e come comportarsi d’ora in avanti.

Dal punto di vista di interazione con l’utente questo esempio non è in realtà nulla di stratosferico, e proprio per questo mi colpisce la semplicità con cui è stato affrontato a livello di intefaccia utente un argomento non banale, come la “migrazione” o – meglio – la condivisione di utenti tra due sistemi che sono nati in realtà distinte. Non oso immaginare come altri (io tra questi) avrebbero progettato la stessa procedura

Il tutto si chiude con un’email che ho ricevuto, e che spiritosamente ringrazia in questo modo:

Thanks, and we hope you enjoy the
sign-on-to-everything-in-one-place goodness!